LABOR

Il tuo lavoro è anche il mio

Patty McCord e il Netflix Culture Deck.

Si può fare anche in Italia?

Con l’articolo di oggi di Labor, il blog sulla Consulenza del Lavoro, voglio inaugurare una serie di approfondimenti su personalità o esperienze d’eccellenza nella gestione del lavoro e delle risorse umane. Riporterò i miei personali spunti di riflessione a partire da buone pratiche che sapranno ispirarmi, affinché, allo stesso modo, i miei ragionamenti possano essere d’ispirazione anche per le aziende con lui lavoro.

Cominciamo da Patty McCord: chi è?

Sono felice di aprire questa nuova serie di Labor parlandovi di Patty McCord. Avete mai sentito parlare di questa donna? Ecco giusto due parole su di lei: Patty McCord è una consulente risorse umane, oggi specializzata in cultura aziendale, leadership e gestione dei talenti. E fin qui potrebbe sembrare una consulente come tante, se non fosse che per 14 anni è stata Chief talent officer di Netflix. Ma la sua specialità non sta tanto nel nome dell’azienda per cui ha lavorato, quanto nella rivoluzione messa in atto grazie alla sua ridefinizione della cultura aziendale.

Netflix Culture Deck.

È questo il nome del manifesto (mi permetto di chiamarlo così) che ha portato Patty McCord a diventare un esempio di gestione efficace delle risorse umane. Il Culture Deck di Netflix è infatti considerato uno dei documenti più innovativi, in materia di HR, prodotto dalla Silicon Valley. Ma cos’ha di così eccezionale questo documento e, soprattutto, perché è diventato un’ispirazione per tanti? Di seguito riporto una sintesi degli 8 punti che lo compongono, affiancando a ciascuno alcune mie considerazioni utili al nostro contesto.

1. Le persone che lavorano con noi devono essere trattate come adulti.

Patty McCord sostiene che nel corso della storia le aziende abbiano inventato e imposto talmente tante procedure, tali da creare quasi delle gabbie per le persone. Il risultato? I dipendenti finiscono per sentirsi come dei bambini, sempre sotto il controllo di chi li comanda, andando così a intaccare la produttività. Questo dovrebbe farci riflettere sulla possibilità di lasciare le persone libere di affrontare a modo loro le quotidiane sfide professionali. Non sono i benefit o gli incentivi iper regolamentati a fare la differenza, ma la condivisione, tra persone adulte, di obiettivi comuni. Quando capiremo questo e cominceremo a trattare i nostri dipendenti come noi, allora loro sapranno darci il meglio.

2. Comunicare costantemente le sfide che le persone hanno davanti e informale sempre sull’azienda.

Vi invito a fare un test: durante la prossima pausa caffè, provate a chiedere a un vostro dipendente quali sono le 3 cose più importanti a cui sta lavorando l’azienda. In quanti saprebbero rispondere con reale cognizione? A volte, forse nel nostro paese più che in altri, siamo gelosi dei “segreti” del nostro business, come se i nostri stessi dipendenti non fossero parte integrante dell’andamento economico dell’azienda. Patty McCord ci spinge a condividere la direzione delle nostre imprese con le persone con cui lavoriamo, a raccontare il nostro modello di business e le prospettive future, affinché tutti possano davvero sentirsi parte di un progetto comune.

3. Usare la massima trasparenza e praticare l’onestà.

In Italia abbiamo un po’ di problemi con la verità. Ci si limita troppo spesso a dire solo ciò che conviene o a nascondere verità scomode. Perché lo facciamo? Perché abbiamo paura di scoraggiare le persone e perderle oppure perché non siamo in grado di ammettere i nostri limiti? Se a monte abbiamo scelto di assumere persone intelligenti, allora dovremmo avere la consapevolezza che siano tutte in grado di leggere e interpretare qualunque situazione e reagire con intelligenza. Le persone che lavorano con noi devono saper vincere e anche saper perdere, e l’unico modo per imparare a farlo e farlo insieme a loro.

4. Discutere animatamente.

Dobbiamo smetterla di prenderla sempre sul personale. Quando si lavora si discute di lavoro, non di convinzioni che vanno al di là dell’azienda. Questo devono impararlo i datori di lavoro come i dipendenti, a mio modo di vedere. Si dice che all’interno di Netflix le discussioni siano molto accese, ma sempre incentrate sul rispetto.

“Mi aiuti a capire meglio cosa ti porta a pensarla così?”

Questa è una delle domande che Patty McCord era solita fare alle persone. Allo stesso modo, provo io a farvi un’altra domanda: se avete assunto quella determinata persona, significa che avete scelto di fidarvi di lei. E allora perché non cercare di comprendere da subito le sue ragioni, anche quando sono completamente diverse dalle vostre? Coltivare opinioni forti e diverse con rispetto reciproco, è una buona strada per trovare soluzioni e non solo ragioni.

5. Costruire oggi l’azienda di domani e concentrarsi sul futuro, costi quel che costi.

In Italia ci si riempie tanto la bocca con concetti come innovazione e cambiamento. Tutti principi bellissimi che guardano al futuro, ma che spesso trovano poca corrispondenza in concrete azioni quotidiane. La tendenza, in genere, è quella di concentrarsi su ciò che si sta facendo adesso, nel presente. Patty McCord ci suggerisce uno sguardo più visionario: le persone devono evolversi, e se non riescono a farlo, bisogna sostituirle. Quando una risorsa smette di crescere avrà difficoltà a lavorare in futuro e non è detto che il modo migliore per evolversi sia restare dove ci si trova.

6. Mettere le persone giuste al posto giusto.

Uno dei punti di forza di Patty McCord è sempre stata la gestione del talento. Lei sostiene che la vera felicità al lavoro non sia data dai premi o dalle gratificazione materiali,  ma dal sentirsi profondamente coinvolti nella risoluzione dei problemi. Personalmente, aggiungo questo: una cosa è la competenza, un’altra è il talento. La scelta di continuare o di interrompere una collaborazione, non può basarsi esclusivamente su cosa una persona sa fare, ma anche sul come la fa. Ecco perché è importante comprendere il talento delle persone e farle lavorare affinché possano esprimerlo al massimo. La cosa più difficile, forse, è capire se un grande talento possa essere davvero utile alla nostra azienda o se, in caso contrario, occorra lasciarlo andare.

7. Pagare le persone in base a ciò che davvero valgono per l’azienda.

L’ex Chief talent officer di Netflix non sopporta le corrispondenze rigide tra job description e compensi. E io sono d’accordo con lei. Il valore di una risorsa è dato da numerosi fattori che un salario minimo non potrà mai regolare alla perfezione. Però, se non vogliamo fare filosofia, bensì essere concreti, una regolamentazione è quanto mai necessaria, oltre che giusta. Per chi fa impresa, l’invito è quello di non limitarsi a ragionare su ciò che ci si può permettere in questo preciso momento; occorre invece soffermarsi su ciò che ci si potrà permettere in futuro, proprio grazie all’investimento su quella specifica risorsa.

8. Lasciarsi da buoni amici.

Oltre a essere l’ultimo punto, questo è forse il più delicato e il più difficile: chi assume deve anche saper licenziare. È indispensabile capire rapidamente e in base alle circostanze se una risorsa sia adeguata o meno alle esigenze dell’azienda. E questa lettura occorre calarla non solo nel presente, ma soprattutto nella prospettiva futura. Non è semplice e ogni sistema ha le sue regole ma, al di là di questo, la trasparenza e l’onestà radicale possono contribuire a eliminare ambigue zone d’ombra nei rapporti di lavoro. In questo senso, è fondamentale che le porte vengono chiuse con consapevolezza condivisa. Inoltre, dal mio punto di vista, saper lasciar andare un talento perché non perfettamente corrispondente alle nostre esigenze, è un vantaggio per tutto il sistema produttivo. Se aziende dello stesso comparto o di settori affini assumono persone preparate, tutti ne possono beneficiare.

Gli spunti, come avrete visto anche voi, sono davvero tantissimi. Non aggiungo altro, ma vi lascio alle vostre riflessioni, con la speranza di avervi dato una visione nuova e utile su questi temi così articolati.

Al prossimo articolo.

Stefania

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