LABOR

Il tuo lavoro è anche il mio

Turismo 2023.

Tanto lavoro, poche competenze.

Care lettrici e cari lettori, anche se ormai l’estate 2023 è finita e settembre volge al termine, come sicuramente molti di voi, anch’io il mese scorso mi sono concessa una vacanza e ho avuto modo di leggere con interesse un po’ di notizie e raccogliere alcuni dati relativi al settore turistico. Mi sono confrontata anche con alcuni imprenditori di questo comparto, ho avuto modo di ascoltare i loro problemi, le loro aspirazioni e qualche volta ho provato a rispondere ai loro dubbi. Da qui, è nata la voglia di approfondire un tema emerso più volte da questi confronti, lo stesso tema con cui oggi torno a scrivervi qui su Labor, il blog sulla Consulenza del Lavoro, e che sono sicura possa servire a molti di voi che mi seguono.

Turismo, i dati parlano chiaro: più occupati, meno qualificati.

Dopo il precedente calo del turismo dovuto ai numerosi e diversi fattori che hanno caratterizzato gli anni scorsi, il 2023 è stato, almeno in parte, un altro anno di ripresa (lo si è detto anche per il 2022, ma la totale eliminazione delle mascherine ha davvero creato una rottura più significativa con il passato). Le persone hanno ricominciato a viaggiare tanto e gli operatori del turismo a lavorare bene. Tutto, dunque, sembra essere andato per il meglio, perfino la difficoltà di reperire risorse umane, riscontrata nell’anno precedente. I dati non mentono: secondo l’Istat, nell’ultimo anno, il comparto dei servizi di alloggio e ristorazione sono quelli che ha registrato la maggior crescita occupazionale (+10,3%). Inoltre, rispetto al 2022, nel settore si sono registrati 130 mila lavoratori in più. Dati confermati anche dall’ultimo bollettino Excelsior, secondo cui è proprio il turismo a offrire le maggiori opportunità di impiego. Ma c’è un però che vi svelo nel prossimo paragrafo.

 Non è tutto HoReCa quello che luccica.

“Ottimo” direte voi a questo punto. Sì, d’accordo, ma è fondamentale svelare una verità: a questi dati molto positivi se ne aggiungono altri, che a seconda del punto di vista da cui si decide di guardare la circostanza, possono essere letti come l’ennesimo problema. Oppure come un’opportunità. Vediamo perché. Secondo un’indagine della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, su 100 occupati del settore turistico solo il 17,1% rientra tra le professionalità ad alta qualificazione. La maggioranza (il 73,9%) presenta una media qualificazione, mentre le figure a bassa qualificazione sono il 10% circa. Nell’ultimo anno in particolare, la crescita occupazionale ha riguardato soprattutto i livelli professionali intermedi (+17,8%) a scapito di quelli elevati (-4,3%) e bassi (-7,5%).

Questo cosa significa? In poche parole, i dati ci dicono che le imprese del settore turistico non hanno più il problema di riuscire a trovare personale, ma che la maggior parte delle persone disponibili sono poco qualificate o comunque non qualificate a dovere. Questo non è assolutamente un problema di poco conto. Provate a immaginare lo scenario: un alto flusso di erogazione del servizio, in particolare nei picchi di stagione, da gestire con personale non sufficientemente qualificato.

Ma perché si è creata questa situazione?

La risposta potrebbe trovare origine in temi molto più vasti di quello trattato in questo articolo, come ad esempio l’enorme difficoltà delle nuove generazioni (laureati e non) a trovare lavori in linea con i propri studi, al punto da identificare nel turismo uno dei tanti spazi dove rifugiarsi temporaneamente, pur di guadagnare qualche soldo o fare un po’ di esperienza. Inoltre, i più giovani, quindi le lavoratrici e i lavoratori meno esperti, sono forse quella fascia di popolazione più propensa ad accettare un lavoro nel settore turistico, perché maggiormente disponibili a turni flessibili. Anche se, a dirla tutta, questa tendenza sta pian piano invertendo la rotta e l’apertura alla flessibilità (eccessiva) sta perdendo pezzi sempre più velocemente. Resta il fatto che questa tipologia di lavoro viene tante volte vissuta come un compromesso, come un impegno che non dura nel tempo e che nella maggioranza delle volte causa un alto tasso di turnover.

Ripartiamo dalla formazione e da condizioni di lavoro migliori.

A questo punto, dopo i confronti con il settore, i dati raccolti e le ricerche fatte, vorrei provare a lasciarvi il mio punto di vista alla fine di questo articolo. Da una parte, abbiamo le imprese turistiche che, da quello che si legge, sono disposte a fare loro parte, puntando su uno degli elementi di connessione fondamentali tra risorse umane e mercato del lavoro: la formazione. Quest’ultima è e sarà sempre il perno che fa muovere tutto, in particolare la qualità dei servizi e la qualificazione del lavoro. Dall’altra parte, c’è un sistema generale che non dà certezze e non permette una vera crescita. Chi lavora nel turismo, in Italia, è ancora tra i meno pagati di tutta Europa, solo per citare un dato. Un settore estremamente strategico per il paese (affermazione sentita e risentita già mille volte), ma che ancora, nonostante la ripresa, i boom annunciati, i margini di crescita, continua a non trovare una dimensione profittevole per tutte le parti coinvolte. Un settore che comincia, tra le altre cose, a sentire anche la diretta concorrenza di paesi vicini che solo di recente hanno cominciato a osservare con sguardo strategico le opportunità di questo mercato. Competizione che potrebbe non limitarsi alle scelte dei viaggiatori, ma che nel tempo potrebbe spostarsi sulla scelta delle lavoratrici e dei lavoratori che cercano condizioni di lavoro più interessanti.

E voi, vi siete fatti un’idea su questo tema? Scrivetemi, se vi va.

Grazie per la lettura e a presto,

Stefania

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