LABOR

Il tuo lavoro è anche il mio

WhatsApp al lavoro.

Si può licenziare con un sms?

Ben ritrovati su Labor, il blog dello Studio Coiana sulla Consulenza del Lavoro. Io sono Stefania e in questo articolo vorrei parlarvi della tecnologia applicata al lavoro. Più precisamente, mi voglio soffermare sull’uso della tecnologia nei rapporti di lavoro, oggi in crescita esponenziale, complice anche la pandemia causata dal Covid-19.
Se in principio fu la mail, anzi la cosiddetta posta elettronica, a entrare prepotentemente nelle dinamiche comunicative tra dipendenti e datori di lavoro, allo stato attuale è la famosissima app di messaggistica istantanea WhatsApp a irrompere nelle nostre vite professionali, insieme ad altri software di videoconferenza, come Microsoft Teams, Google Meet, Skype, ecc.

 

Dalla nascita di WhatsApp al nostro uso nel lavoro.

WhatsApp nasce nel 2009 negli Stati Uniti, grazie all’idea di due ex impiegati di Yahoo!, dopo che Facebook non accolse la loro candidatura. Qualche anno più tardi, i due informatici si presero però la loro rivincita, perché il colosso digitale di Mark Zuckerberg, alla luce del successo dell’app, decise di acquistarla, compiendo una delle mosse economiche più rilevanti nella storia di Facebook. Oggi, WhatsApp conta circa 1 miliardo e 600 milioni di utenti attivi in 180 paesi nel mondo. Tra questi utenti, com’è ovvio, ci siamo anche noi, e tra tutto ciò che ci scambiamo in modo sempre più rapido, ci sono tante informazioni riservate, documenti, contratti, preventivi, codici PIN, dati di carte di credito, direttive professionali e tantissimi altri contenuti; da quelli più personali a quelli che riguardano il nostro lavoro.

 

Qualche dato a cui dovremmo prestare attenzione.

Oltre il 70% dei dipendenti utilizza app analoghe a WhatsApp per condividere dati sensibili dell’azienda, e circa il  50% tra manager e professionisti scansiona documenti di lavoro e li spedisce tramite la famosa app di messaggistica rapida. Fin qui si potrebbe serenamente pensare a una prassi ormai consolidata e addirittura ovvia, ma se vi dicessi che uno su quattro, circa il 24%, sbaglia destinatario, che reazione avreste? L’errore ci può cogliere in qualsiasi attività della nostra vita, ma sarebbe opportuno non capitasse quando abbiamo a che fare con informazioni così delicate. L’attenzione, quindi, è senza dubbio il primo comportamento con cui fare i conti quando utilizziamo la tecnologia per lavoro. WhatsApp, per sua natura, rappresenta il dialogo rapido, istantaneo, spesso l’informalità, e non tutte le comunicazioni professionali si adattano a questo tipo di dinamica. Ragioniamo sempre, in base alla circostanza, al giusto mezzo a seconda del contenuto. A volte scegliere la mail può essere più ragionevole.

Cos’è opportuno comunicare con WhatsApp?

Un’altra prassi comune che si è diffusa negli ultimi anni è quella dei gruppi WhatsApp creati per condividere turni di lavoro, fissare riunioni o anche per lo scambio di aggiornamenti tra colleghi. Da questa attività all’apparenza innocua e funzionale, si è però passati in un attimo a utilizzare WhatsApp per comunicare assenze e/o ritardi oppure addirittura per formalizzare istanze del lavoratore, come una richiesta di ferie o un’assenza per malattia. Su quest’ultimo  punto specifico, con la sentenza n.8802/2017, il Tribunale di Roma ha sdoganato l’utilizzo di WhatsApp per comunicare l’assenza per malattia. La chat è stata infatti ritenuta un canale idoneo per tale finalità, in quanto i messaggi di WhatsApp sono considerati idonei anche più di una raccomandata o di un sms.

Restano ancora tante domande aperte.

Come possiamo constatare, la tecnologia ha ormai acquisito una consolidata rilevanza nei rapporti sociali e professionali, favorendo nuove modalità di comunicazione sulle quali ancora restano numerose domande: WhatsApp può essere utilizzato per comunicare un procedimento disciplinare? Posso produrre in giudizio i messaggi trasmessi dal mio datore di lavoro? Il datore di lavoro può contestare al dipendente una condotta offensiva, anche se non è il destinatario diretto dei messaggi? Le risposte fornite dai Tribunali non sono sempre univoche, ma fanno i conti con le singole circostanze, sempre più diverse e sempre più numerose, vista la pervasività di questi sistemi. Sotto il profilo probatorio, ad esempio, il Tribunale di Ravenna ha avuto modo di identificare i messaggi WhatsApp come delle vere e proprie prove documentali, rientranti nella disciplina dell’art. 2712 c.c. Ancora, il Tribunale di Firenze, con la sentenza del 16 ottobre 2019, si è pronunciato a favore del ricorso di un dipendente per un provvedimento disciplinare avvenuto perché, tramite un gruppo privato di WhatsApp, il dipendente stesso condivise messaggi denigratori nei confronti della propria datrice di lavoro.

Concludiamo con la domanda più importante: si può licenziare via WhatsApp?

Vi tolgo subito qualsiasi dubbio: la risposta è affermativa. Il licenziamento del dipendente da parte del datore di lavoro, a pena di nullità, ha bisogno della forma scritta,  e i messaggi istantanei di WhatsApp sono considerati tali. Inoltre, secondo quanto specificato dalla Suprema Corte, il datore di lavoro può comunicare la volontà di recedere dal rapporto anche in forma indiretta, purché emerga chiaramente l’intento recessivo del principale. Un caso concreto sulla legittimità del licenziamento via WhatsApp, è giunto di recente al Tribunale di Catania. I giudici siciliani hanno chiarito come il recesso del rapporto di lavoro, intimato dal datore tramite WhatsApp, assolva in maniera adeguata l’onere della forma scritta. (Trib. Catania, Sez. Lavoro, ordinanza del 27/06/2017).

Come avrete notato anche voi, quando si parla di tecnologia tutto è in continua evoluzione. Per adesso, non possiamo che attenerci alle sentenze, prestare molta attenzione, ma soprattutto chiedere alla vostra Consulente del Lavoro in caso di dubbi.

Al prossimo articolo.

Stefania

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