LABOR

Il tuo lavoro è anche il mio

Mancanza di personale nel settore turistico.

Un vero problema nell’estate della ripartenza.

Care lettrici e cari lettori, ormai avrete capito che qui su Labor, il blog sulla Consulenza del Lavoro, si parla di temi che riguardano il mondo delle imprese, ma che spesso diventano anche argomenti di grande attualità. In particolare, proprio negli ultimi mesi, abbiamo tanto sentito parlare della difficoltà di reperire personale nel settore turistico. Anzi, sono sicura che qualcuno di voi si è trovato a dover affrontare il problema in prima persona. Per questo, vorrei provare ad analizzare il fenomeno, cercando di definire un’istantanea sulla circostanza, utile a una riflessione collettiva.

È davvero diminuita la voglia di lavorare? Vediamo un po’ di dati.

Dopo due anni di pandemia e le innumerevoli difficoltà che hanno dovuto affrontare gli imprenditori del settore turistico, questa sarebbe dovuta essere l’estate della grande ripresa. Ma se da una parte la voglia di vacanze è aumentata, quella che (come molti sostengono) è diminuita, pare essere la voglia di lavorare: non si trovano receptionist, cuochi, camerieri, baristi, addetti alle pulizie e bagnini.  Servono 387 mila lavoratori, ma quasi la metà (il 40%) è introvabile. Ma davvero il problema della mancanza di personale è riconducibile alla mancanza di voglia di lavorare?

Lo scenario è molto più complesso di come lo si racconta e le possibili cause sono molto più articolate. Dati alla mano, possiamo subito notare che il problema non riguarda solo l’Italia e non interessa solo il 2022. Infatti, secondo l’Autorità europea del lavoro, i posti vacanti segnalati dai diversi Stati europei nel 2021 sono stati oltre 1 milione. Sicuramente la pandemia ha giocato il suo ruolo importante, anche se ritengo sia il risultato di cause concatenate molto più profonde. Sarebbe riduttivo, ad esempio, limitarsi a dare la colpa unicamente all’esistenza del Reddito di Cittadinanza o alla mancanza di voglia di lavorare delle nuove generazioni.

Ci sono quindi delle motivazioni più profonde su cui riflettere?

In primo luogo, non possiamo non considerare i problemi strutturali del mercato del lavoro, con costi troppo alti per gli imprenditori e stipendi tra i più bassi in Europa per i lavoratori. Proprio su quest’ultimo punto, si ricollega una delle motivazioni più riportate dai professionisti del settore, ovvero che le paghe non sarebbero adeguate al numero di ore svolto e all’impegno richiesto. Anche qui, trovo riduttivo chiudere la questione con il luogo comune i giovani devono fare sacrifici; bisognerebbe invece valutare se i sacrifici richiesti portino le persone a fare un passo avanti nella propria carriera o se si concludano con la fine della stagione estiva. Dall’altra parte, sono convinta ci siano condizioni di lavoro inaccettabili, come sono sicura ci siano altrettante imprese turistiche che offrono al proprio personale un’ottima retribuzione, possibilità di carriera e formazione.

L’impegno per la buona riuscita del sistema del lavoro dovrebbe provenire da tutte le parti in causa: dagli imprenditori, dai lavoratori e dalle istituzioni. Inoltre, spesso il sistema che dovrebbe incrociare domanda e offerta di lavoro è inadeguato: se facciamo un piccolo salto indietro nel tempo, possiamo rilevare come negli anni prima della pandemia, solo il 2,1% delle persone che hanno trovato un’occupazione nel privato è passato dai Centri per l’Impiego.

E il digitale, il web, hanno un ruolo in tutto questo?

Non c’è dubbio che il digitale, in particolare negli ultimi due anni, abbia aperto nuove opportunità lavorative, incrementando l’accessibilità a diversi e nuovi mestieri. Pensiamo al tanto discusso lavoro da remoto: oggi si può scegliere di lavorare da qualsiasi posto e per qualsiasi azienda del mondo. Questo cosa significa? Che un giovane, per esempio residente a Cagliari, può accedere a offerte di lavoro in Inghilterra, in Francia o negli Stati Uniti, restando a casa propria e avendo magari accesso a livelli remunerativi più alti di quelli italiani e magari anche con un equilibrio maggiore tra lavoro e vita privata. Oppure pensiamo all’opportunità del commercio online e alla semplificazione degli strumenti tecnologici, grazie ai quali non è più così tecnicamente complesso valutare di aprire una propria attività o per lo meno scegliere di rischiare e investire così la propria disoccupazione. In altre parole, è come se l’universo digitale, in una certa misura, stia facendo concorrenza a quei lavori più classici che prima i ragazzi e le ragazze facevano d’estate.

L’importanza dell’equilibrio vita privata-lavoro: più che una causa, una motivazione sociale.

Avevo già affrontato questo tema nell’articolo sul fenomeno delle Grandi Dimissioni, che trovate qui, e a mio parere torna ad avere un ruolo anche nella problematica che stiamo affrontando in questo nuovo testo. Non è più possibile evitare di considerare cruciali per il lavoro il benessere, la serenità e il bisogno diffuso di lavorare in un ambiente sostenibile da tutti i punti di vista, umano, sociale ed economico. Le nuove generazioni, ma come tutti d’altronde, hanno bisogno di una visione del futuro. Com’è giusto che sia, il tempo della propria vita dedicato al lavoro è sempre più considerato un investimento, soprattutto dai più giovani, e non uno strumento che risolve un problema contingente.

In conclusione, a fronte di un tema così complesso, per il quale ho voluto portare degli spunti di riflessione, credo che la soluzione non debba e non possa essere una sola, ogni parte in gioco dovrebbe porsi delle domande e pensare a come poter trovare un punto d’incontro soddisfacente per tutti. 

Se avete piacere di condividere con me la vostra riflessione, sarei contenta di leggerla.

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Stefania

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