LABOR
Il tuo lavoro è anche il mio
Dopo il quiet quitting, arriva il quiet hiring.
Ecco uno degli ultimi trend del mondo delle risorse umane.
Carissime lettrici e carissimi lettori, bentornati su Labor, il blog sulla Consulenza del Lavoro. Questo mese sono qui con voi per trattare un tema nuovo nel campo delle risorse umane, così nuovo che per identificarlo è stato creato un neologismo, che a detta di molti esperti delle HR, sarà uno dei maggiori trend dei prossimi mesi, se non addirittura del prossimo anno. Sto parlando del Quiet hiring, traducibile in italiano con l’espressione assunzione silenziosa. Vi ricorda qualcosa? Sono sicura che alle mie lettrici e ai miei lettori più affezionati sarà sicuramente venuto in mente il fenomeno del quiet quitting che ho trattato qualche mese fa in questo articolo, ossia quella forma di licenziamento silenzioso che si caratterizza per la riduzione al minimo indispensabile dell’impegno dei dipendenti in azienda, ma senza che si trasformi mai nell’abbandono concreto del proprio posto di lavoro.
Come vi ho anticipato, il fenomeno del Quiet hiring è molto recente, per questo ad oggi non abbiamo ancora abbastanza dati e informazioni che possano dimostrare i suoi effetti, positivi o negativi, nei contesti di lavoro. In questo articolo, infatti, mi limiterò a raccontarvi nel dettaglio di cosa si tratta, per poi provare ad analizzarlo brevemente e individuare insieme il modo migliore per attuarlo, magari con risvolti efficaci sia per le aziende che per i lavoratori.
Quiet hiring: di cosa si tratta?
Cominciamo raccontando l’origine del termine. Uno dei primi utilizzi di questa espressione è rintracciabile in un articolo della rivista americana Inc. Magazine, dedicato al metodo utilizzato da Google per ricollocare i dipendenti in nuovi ruoli all’interno dell’azienda. Questo stesso termine ha poi pian piano cominciato a identificare la tendenza di alcune aziende impegnate a rispondere all’altro fenomeno a noi noto, il quiet quitting, di cui abbiamo appena parlato: l’obiettivo sarebbe quello di valorizzare le risorse già presenti in azienda, proponendogli di svolgere nuove mansioni o rivestire nuovi ruoli, senza dover acquisire nuovi dipendenti per sopperire alle mancanze dei quit quitter.
Nuovi termini, vecchie strategie.
Anche se il termine è recente, se ci fermiamo un attimo a riflettere, capiamo subito che in realtà non siamo di fronte a un fenomeno del tutto nuovo. Se vi parlo di mobilità interna, infatti, vi sembra di essere di fronte a qualcosa di nuovo? Probabilmente no. Le aziende più grandi, più strutturate, in particolar modo le multinazionali, possiedono da tempo interi team HR dedicati alla mobilità interna, dove ogni qual volta si apre una nuova posizione in azienda, si offre la possibilità di partecipare al processo di recruiting non solo a persone esterne, ma anche a chi è già dipendente. In questo modo, si favorisce lo sviluppo personale e professionale all’interno dell’impresa e indirettamente si contrastano anche fenomeni dannosi per l’azienda, come appunto il quiet quitting e le great resignation. Perché? Perché attraverso questo sistema, dopo tutto, si dà la possibilità a quei lavoratori che non sono soddisfatti della loro posizione attuale di cambiare mansione, senza doversi sentire frustrati o senza doversi licenziare per cercare la propria felicità professionale altrove.
Quiet Hiring: un termine semplice, ma un approccio da non semplificare.
È ormai appurato che la mancanza di nuovi stimoli, così come l’assenza di valorizzazione dei dipendenti, possano essere tra le principali cause di turnover in un’azienda. In questo contesto, il Quiet hiring potrebbe rappresentare una soluzione per colmare queste lacune, concentrando gli sforzi sulla ricerca di nuove motivazioni e nuovi stimoli per i dipendenti più talentuosi e desiderosi di crescere, valorizzando le loro qualità e le loro competenze. Nonostante questo, è importante considerare un elemento di estrema importanza: non tutte le persone che lavorano sono interessate all’idea di assumere ruoli o mansioni diverse dalle proprie. Inoltre, è fondamentale evitare l’eccessiva semplificazione dell’approccio al Quiet hiring, utilizzando questa “modalità” solo per aggiungere ulteriori responsabilità ai dipendenti più disponibili. Nel medio o lungo periodo, un orientamento di questo tipo rischia di generare nuove insoddisfazioni o frustrazioni all’interno del team di lavoro, per poi far ripartire in loop un sistema demotivante e non risolvere gli eventuali problemi di produttività.
Come intendere efficacemente questo nuovo trend?
A mio avviso, questo nuovo trend potrebbe avere dei risvolti positivi, ma solo se fondato su un dialogo trasparente tra azienda e dipendenti. Infatti, comunicare e coinvolgere attivamente il personale aiuta a percepire e comprendere le preoccupazioni, gli interessi e magari anche le aspettative delle persone. Solo così si possono valutare opportunità di crescita in linea con le competenze dei dipendenti e con gli obiettivi delle imprese. Come ho detto più volte su questo blog, è sempre attraverso valori come la trasparenza e l’opportuna condivisione che si può costruire un ambiente di lavoro in cui i talenti interni si sentano davvero valorizzati, motivati e soprattutto gratificati.
Voi che idea vi siete fatti del Quiet hiring? Avete mai pensato o attuate già pratiche di mobilità interna nella vostra azienda? Scrivetemi se vi va di parlarne.
Buon lavoro e al prossimo articolo.
Stefania
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